Lev Tolstoj, una delle menti più brillanti e influenti della letteratura e del pensiero filosofico, ci ha lasciato un'eredità ricca di riflessioni sulla condizione umana, la morale e la società. Tra le sue molteplici intuizioni, una risuona con particolare forza nel contesto attuale: l'idea che la violenza sia, in sostanza, l'assenza di parole nel vocabolario. Questa affermazione, apparentemente semplice, racchiude una profondità psicologica e sociologica notevole, suggerendo che la violenza non è un atto primordiale o inevitabile, ma piuttosto il fallimento della comunicazione e della comprensione.
Il linguaggio come fondamento della civiltà
Per Tolstoj, il linguaggio non è solo uno strumento di comunicazione; è il pilastro su cui si fonda la civiltà. È attraverso le parole che possiamo esprimere pensieri complessi, negoziare differenze, costruire relazioni e risolvere conflitti. La capacità di articolare i propri sentimenti, le proprie esigenze e le proprie ragioni è ciò che ci distingue, come esseri umani, dalla pura istintualità. Quando questa capacità viene meno, quando le parole si esauriscono o non vengono ascoltate, si apre un vuoto che può essere colmato solo dalla forza bruta.
La violenza come incapacità di esprimersi
Considerare la violenza come "assenza di parole" significa riconoscere che spesso essa emerge da un'incapacità o una riluttanza a impegnarsi in un dialogo significativo. Che si tratti di un individuo, di un gruppo o di una nazione, la scelta della violenza può indicare:
* Mancanza di vocabolario emotivo: A volte, le persone non hanno le parole per esprimere rabbia, frustrazione, paura o dolore in modi costruttivi. Questa impotenza verbale può sfociare in azioni aggressive.
* Rifiuto del dialogo: In altri casi, la violenza è una scelta deliberata di non impegnarsi nel processo comunicativo, magari per imporre la propria volontà senza compromessi o per disprezzo verso l'altro.
* Incomprensione reciproca: Quando le parole vengono usate ma non si incontrano, quando i messaggi vengono fraintesi o ignorati, la tensione può crescere fino al punto di rottura, dove l'unica "comunicazione" rimasta sembra essere la forza.
* Silenzio delle vittime: Tolstoj probabilmente intendeva anche il silenzio imposto alle vittime, a cui viene tolta la voce, rendendo la violenza un atto che annulla la loro capacità di reazione verbale e, di conseguenza, la loro umanità.
Oltre l'individuo: la violenza nella società e nella politica
L'intuizione di Tolstoj si estende ben oltre le dinamiche interpersonali. A livello sociale e politico, la violenza, sia essa rivoluzione, guerra o repressione, può essere vista come il fallimento di sistemi che non riescono a offrire canali adeguati per il dissenso, la negoziazione e la risoluzione pacifica dei conflitti. Quando le voci vengono zittite, quando il dialogo è impossibile o quando le ingiustizie vengono ignorate, le persone possono sentirsi spinte a ricorrere alla violenza come ultima risorsa per farsi sentire.
Implicazioni per il presente
Nel mondo contemporaneo, dove la polarizzazione e la disinformazione sono all'ordine del giorno, la visione di Tolstoj assume un'importanza ancora maggiore. In un'epoca di comunicazione digitale immediata ma spesso superficiale, è facile che i messaggi vengano distorti, che l'empatia si affievolisca e che le persone si rinchiudano nelle proprie bolle di pensiero. Riscoprire il valore del dialogo, dell'ascolto attivo e della ricerca di un terreno comune diventa cruciale per disinnescare le tensioni e costruire società più pacifiche.
In conclusione, l'aforisma di Tolstoj "la violenza è l'assenza di parole nel vocabolario" ci invita a una profonda riflessione. Ci rammenta che la pace non è semplicemente l'assenza di guerra, ma la presenza di una comunicazione efficace, di comprensione reciproca e di un impegno costante a trovare soluzioni attraverso il dialogo. È un potente promemoria che il vero potere risiede non nella capacità di distruggere, ma nella capacità di connettersi e di costruire ponti con le parole.
Capitan Pess