Una Battaglia Epica contro il Dolore, Non Contro la Fatica
Ho appena concluso la mia avventura nella Spartan Ultra, e scrivo a caldo in modo da sentire ancora tutte le emozioni generate da questa sfida.
È stata un'esperienza incredibile che mi ha messo alla prova in modi che non avrei mai immaginato. Non è stata una lotta contro la fatica come era facile aspettarsi, bensì una battaglia incessante e brutale contro il dolore, la sofferenza e l'instancabile voglia di resistere per proseguire.
L'inizio della gara è stato un sogno. I primi 12 km ci hanno regalato ben oltre 1000 metri di dislivello positivo, e io ero in gran forma. Sentivo le gambe girare bene, il passo era sostenuto e riuscivo a superare agilmente altri atleti anche nelle salite più impegnative. Ero nel mio elemento, in totale sintonia con il percorso e con la sfida.
Poi è arrivato il primo attraversamento del lago. L'acqua, gelida so che è il punto debole per i miei muscoli, mi è già capitato più volte in passato ed anche in questo caso è stata la mia prima vera nemica. Appena uscito, i muscoli delle cosce hanno iniziato a protestare, avvisaglie di crampi in agguato. Un piccolo campanello d'allarme che, purtroppo, si sarebbe trasformato in una campana a morto per le mie gambe nei successivi km.
Subito dopo è iniziata una salita che sembrava non finire mai. La scena era quasi surreale: tutti intorno a me erano diventati un'orda di zombie, silenziosi, a testa bassa, con un passo lentissimo e decadente. Poi una discesa lunghissima, un altro lago ghiacciato da attraversare e, senza un attimo di respiro, un'altra salita infinita. A questo punto, le mie gambe hanno ceduto. I muscoli hanno iniziato a contrarsi violentemente, limitando drasticamente la mia mobilità.
Il punto più alto della gara, a 2090 metri e circa al 21° km, ha segnato l'inizio di una discesa estenuante di 840 metri di dislivello in pochissimi km e questo significa che la discesa è molto ripida; su discese così è impossibile correre, e i passi in avanti e verso il basso sono pesanti perché oltre all'inerzia sostengono tutto il peso del corpo.
Qui, la situazione è precipitata. Le mie gambe semplicemente non mi permettevano né di correre né di camminare fluidamente. Ogni dieci passi ero costretto a fermarmi e ad accovacciarmi per cercare di sciogliere le cosce. È stato un vero calvario, ma ho tenuto duro e ho fatto del mio meglio, passo dopo passo, accovacciamento dopo accovacciamento.
Nonostante il dolore lancinante, c'è un aspetto di cui vado immensamente fiero: non ho saltato un singolo ostacolo. Li ho completati tutti, persino un lunghissimo trasporto di catena da 40 chili che, in quelle condizioni, è sembrato un'impresa titanica. La forza di volontà ha prevalso sulla sofferenza fisica.
Bravo.
Quando finalmente sono arrivato in pianura, ho creduto fosse finita. Purtroppo era solo un' illusione. Mancavano ancora 6 km e una quantità non indifferente di ostacoli. I crampi alle cosce erano ormai una costante, rendendo impossibile qualsiasi tentativo di corsa fluida.
Qui ho corso qualche centinaio di metri con un ragazzo spagnolo in estrema difficoltà; aveva finito i suoi gel e così gli ho offerto il migliore dei miei per fargli completare la sua gara e li, dopo due chiacchiere, ha ripreso la sua normale andatura e mi ha superato.
Io invece ho tagliato il traguardo del primo giro a 33 km dopo 8 ore e una manciata di minuti, ma a malincuore ho dovuto fermarmi ed uscire dalla gara.
In quelle condizioni ero troppo lento per poter portare a termine la gara entro il limite massimo di tempo previsto.
C'è un profondo senso di rammarico. Avevo ancora un'ora di margine prima della chiusura dei cancelli, e se solo le mie gambe avessero risposto, sarei arrivato nello stesso punto almeno con un'ora e mezza di anticipo e probabilmente avrei potuto raggiungere il traguardo finale.
Nel momento in cui mi sono fermato, non ero affatto stanco; era il dolore muscolare, persistente e debilitante, che mi impediva di continuare. Volevo confrontarmi con la fatica fisica, ma ho trascorso quasi tutta la gara a lottare contro un dolore implacabile.
Avrei potuto farcela, ne sono convinto. Ma in quelle circostanze, in quelle condizioni estreme, non potevo davvero fare di più. Credo fermamente che, anche così, sia stata un'impresa epica. I piani erano cambiati e a quel punto potevo solo adeguarmi e reimpostare "in corsa" i miei obiettivi.
Temevo i 52km e i 3000mt di dislivello ed invece la vera minaccia era il passaggio nell' acqua fredda.
Ho imparato una lezione preziosa sulla resilienza e sui limiti del mio corpo, e soprattutto sulla distinzione tra stanchezza e dolore.
Ho imparato che nonostante sia difficile ammetterlo è necessario accettare i fatti e non aggrapparsi ai "se" o ai "ma".
E ho imparato che non c'è disonore se si lotta fino alla fine dando tutto quello che è possibile e che ci può essere molta dignità anche in un risultato che ha il sapore di una sconfitta.
Alla fine della gara, in mezzo ad un folla di persone sento chiamare il mio nome:
Identifico un ragazzo con un gran sorriso, lo stesso ragazzo spagnolo a cui ho regalato uno dei miei gel, che mi dice che grazie al mio aiuto è riuscito a vincere la sua Age Group, ovvero la sua categoria assoluta 30-35 anni.
Mi dice di non aver mai vinto niente e di aver coronato il suo sogno proprio nella gara più iconica di Spartan, quella più dura, quella più epica.
Mi da dei meriti che ovviamente non ho, mi dice che senza il mio aiuto non avrebbe mai ottenuto questo risultato e che me ne sarà grato per sempre;
Io mi sono commosso ed emozionato insieme a lui. Questo ragazzo tutto muscoli è diventato un bambino dopo aver raggiunto il massimo risultato. Posso solo immaginare quanti sacrifici ci siano dietro questa vittoria.
Sono sinceramente felice per lui e di aver contribuito con un piccolo gesto a realizzare il sogno di un ragazzo davvero forte e di aver contribuito alla creazione di gioia e felicità.
Questa Spartan Ultra non è stata la vittoria che speravo, ma è stata una battaglia vinta contro la mia stessa frustrazione e un'ulteriore auto-conferma della mia determinazione.
Chiudo la mia personale sfida dopo 32,8km, 2182 mt di dislivello positivo e 2182 mt di dislivello negativo e 30 ostacoli in 8 ore,19 minuti e 20 secondi e tutto sommato, va bene così...per ora...
"Non è la conquista della montagna, presunzione assurda, né lotta tra l'uomo e la natura, mera finzione che noi immaginiamo per rendere eroica e grandiosa la nostra piccola lotta. È tutt'al più conquista di sé stessi. La lotta implica l'odio, il Trail è solo l'amore. Dunque ogni piccolo uomo non conquista la cima della montagna ma se stesso".
Capitan Pess
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