LA CRESCITA ESPONENZIALE: PERCHÉ ALCUNI LAVORI CI FANNO PROGREDIRE ED ALTRI NO

​Quando pensiamo al nostro lavoro, spesso lo vediamo solo come un mezzo per guadagnare. Ma se ci fermiamo a riflettere, ci rendiamo conto che non tutti i lavori sono uguali in termini di crescita personale e professionale. Alcuni ruoli ci spingono a migliorare costantemente, mentre altri sembrano offrirci poco più che una routine statica.

​Prendiamo l'esempio di un musicista. Dedicando otto ore al giorno, per anni, alla pratica di uno strumento, si diventa un virtuoso. Non si tratta solo di acquisire la tecnica, ma di sviluppare una comprensione profonda della musica, di affinare la propria creatività e di imparare la disciplina necessaria per raggiungere l'eccellenza. Questo tipo di lavoro è intrinsecamente esponenziale: ogni ora di pratica non si limita a sommarsi alla precedente, ma moltiplica le nostre capacità, creando una base solida da cui spiccare il volo. Le competenze acquisite si riversano in altri campi: la disciplina del musicista può essere applicata all'apprendimento di una nuova lingua, la creatività all'innovazione in un progetto di lavoro e la perseveranza al raggiungimento di qualsiasi obiettivo.


La Crescita Lineare vs. la Crescita Esponenziale

​Molti lavori, invece, ci offrono una crescita lineare. Pensiamo a un'attività ripetitiva in cui si eseguono sempre gli stessi compiti. Sebbene si possa diventare più veloci e precisi, non si acquisiscono nuove competenze e non si affrontano nuove sfide. Il tempo speso in questi lavori non moltiplica il nostro potenziale, ma si aggiunge semplicemente al totale. Dopo 30 anni, potremmo essere molto efficienti in ciò che facciamo, ma le nostre abilità e la nostra mentalità potrebbero essere rimaste le stesse di 30 anni prima. Questo è un lavoro che ci mantiene stabili, ma non ci permette di evolvere.


​Come Riconoscere un Lavoro a Crescita Esponenziale

​Non si tratta di sminuire nessun tipo di lavoro, ma di diventare consapevoli di come il nostro tempo viene impiegato. Un lavoro a crescita esponenziale ha le seguenti caratteristiche:

  • Apprendimento Continuo: Ti chiede di acquisire nuove conoscenze e abilità regolarmente.
  • Problem Solving: Ti sfida a trovare soluzioni creative a problemi complessi, invece di seguire istruzioni predefinite.
  • Sfide Costanti: Ti spinge fuori dalla tua zona di comfort, incoraggiandoti a superare i tuoi limiti.
  • Autonomia: Ti dà la libertà di esplorare nuove idee e di prendere decisioni, responsabilizzandoti.

​Riflettere su questi punti può aiutarci a capire se il nostro lavoro ci sta aiutando a crescere o se ci sta semplicemente mantenendo in uno stato di stallo. La consapevolezza è il primo passo per cercare opportunità che ci spingano a diventare delle persone migliori.


Capitan Pess





RIPARTE LA SCUOLA: È ORA DI COMPLICARSI LA VITA!

L'estate sta finendo. I ragazzi, con i piedi ancora sporchi di sabbia e il ricordo di notti passate a ridere, si preparano a varcare le porte della scuola. Ma non è solo un ritorno ai banchi, è un vero e proprio passaggio.

​La frase che mi risuona in testa in questi giorni è: “L'azione più del pensiero è la spada del giovane guerriero che, reduce da un lunghissimo periodo di addestramento protetto e controllato, ora per la prima volta affronta la realtà da solo; ed è ora di complicarsi la vita...”

​Per anni, li abbiamo visti crescere in una sorta di "addestramento protetto". Compiti, lezioni, esami... tutto all'interno di un sistema strutturato, con noi genitori sempre pronti a proteggerli, educarli e a indirizzarli. Era un po' come un'esercitazione in una palestra sicura, dove si imparavano le tecniche e le strategie. Ma ora, i nostri ragazzi non sono più solo allievi. Anno dopo anno stanno diventando guerrieri. E la loro arma non è più il "pensiero", la teoria, ma l'azione.

​Ogni scelta che faranno, ogni amicizia che coltiveranno, ogni difficoltà che supereranno (o non supereranno) sarà un'azione concreta che plasmerà il loro futuro. E questo processo, per quanto spaventi noi genitori, è fondamentale.


Perché "complicarsi la vita"?

​Sembra un controsenso, vero? Abbiamo sempre cercato di semplificare la loro strada, di eliminare gli ostacoli. Eppure, le battaglie più importanti si vincono solo affrontando le complessità.

  • Sbagliare è imparare: Solo agendo in autonomia i nostri ragazzi impareranno a rialzarsi dopo una caduta. Non possiamo sempre essere lì a spianare la strada. Lasciamo che facciano scelte sbagliate, che litighino con gli amici, che non superino un compito: è proprio in questi momenti che si costruisce la resilienza.
  • La vita vera è fuori dal manuale: A scuola si impara la matematica e la storia, ma la vita è fatta di relazioni, di emozioni, di imprevisti. "Complicarsi la vita" significa affrontare la complessità delle dinamiche sociali e personali, sviluppando l'empatia e la maturità.
  • L'autonomia è una conquista: Incoraggiamoli a prendere decisioni in autonomia. A scegliere il loro percorso di studi, a gestire il loro tempo, a risolvere i loro problemi. Questo li renderà responsabili e li preparerà per le sfide future.

Il nostro ruolo: Da scudo a faro

​Il nostro ruolo non è più quello di proteggerli con uno scudo, ma di essere un faro. Dobbiamo essere un punto di riferimento sicuro, un porto in cui tornare in caso di tempesta, ma non un'ancora che li tiene fermi.

​Lasciamoli sperimentare, lasciamoli osare, lasciamoli sbagliare. La scuola che sta per iniziare è un vero campo di battaglia, dove dovranno usare la loro spada, l'azione, per scrivere il proprio destino.

​Siamo pronti a vederli crescere? A vederli "complicarsi la vita" per diventare le persone straordinarie che sono destinate a essere? Io credo di sì. E il loro ritorno a scuola non è solo un nuovo anno, ma l'inizio di una grande avventura.


Capitan Pess 





MICROMORT: L'UNITÀ DI MISURA PER CAPIRE I RISCHI DELLA VITA DI TUTTI I GIORNI

Nel nostro continuo sforzo di vivere una vita più sana e più sicura, tendiamo a preoccuparci di rischi molto remoti, come attacchi di squali o incidenti aerei, mentre sottovalutiamo quelli che affrontiamo ogni giorno. È qui che entra in gioco il concetto di micromort.


Ma che cos'è esattamente un micromort?

​Il termine, coniato dal professore di statistica della Stanford University Ronald A. Howard, è una misura di rischio pari a una probabilità su un milione di morire. Sebbene possa sembrare uno zero quasi inesistente, aiuta a contestualizzare i vari rischi che si affrontano quotidianamente. A una persona di 20 anni, per esempio, un giorno di vita costa circa un micromort, a causa del rischio di fatalità di base.

​Qualche esempio concreto

  • Guidare l'auto: ogni 400 chilometri percorsi in auto aumentano il rischio di un micromort.
  • Viaggiare in aereo: percorrere circa 1.000 chilometri in aereo aggiunge un micromort al tuo rischio.
  • Fumare: due sigarette equivalgono a un micromort, evidenziando il rischio significativo del fumo.
  • Alpinismo: scalare l'Everest comporta un rischio di 37.936 micromort, a dimostrazione dei rischi estremi associati.
  • Vivere un giorno: Per una persona di 20 anni, il rischio di fatalità di base di vivere un giorno è di circa 1 micromort.

  • Donare il sangue: L'atto di donare il sangue ha un rischio di 0,001 micromort, il che lo rende incredibilmente sicuro.

  • Nascita: Un parto naturale comporta un rischio di circa 120 micromort, che sale a circa 170 micromort per un taglio cesareo.

  • Correre una maratona: La partecipazione a una maratona è associata a un rischio di 7 micromort.

  • Scuba diving: Ogni immersione subacquea (per un subacqueo con formazione) aggiunge circa 5 micromort.

  • Andare in bicicletta: Percorrere circa 16 km in bicicletta comporta un micromort.


Perché è utile?

​Il concetto di micromort ci aiuta a prendere decisioni migliori e più consapevoli, valutando i rischi in modo più razionale. Aumenta la nostra consapevolezza sulle scelte che facciamo e sui rischi che comportano.

​Tuttavia, è importante ricordare che il micromort non è una scienza esatta. È una stima che serve a mostrare in modo più intuitivo e diretto i rischi di ogni giorno, e non considera le differenze individuali, come lo stato di salute o l'età. Se da un lato un micromort ci aiuta a misurare e capire i rischi, dall'altro non dovrebbe sostituire il buon senso e il giudizio.

​Il concetto di micromort ci offre un modo per comprendere e affrontare il rischio con una nuova prospettiva. Ci aiuta a distinguere tra i rischi che meritano la nostra attenzione e quelli che non ne hanno bisogno.


Capitan Pess







PERCHÉ IL MALE CI AFFASCINA COSI TANTO?

​Ti sei mai trovato a fissare un notiziario che riporta un disastro, a fare zapping per vedere l'esito di un processo criminale, o a rallentare in autostrada per sbirciare i resti di un incidente? Non sentirti in colpa. Questo impulso, questo bisogno di consumare notizie cupe e tragiche che non ci toccano direttamente, è un fenomeno sorprendentemente comune e profondamente radicato nella psicologia umana. Ma perché il male, la tragedia e il dolore altrui esercitano su di noi un fascino così potente?


​La Ricerca di Sicurezza e Controllo

​Una delle teorie più diffuse è che la nostra attrazione per le brutte notizie derivi da un'innata necessità di sopravvivenza. Il nostro cervello è cablato per rilevare le minacce e, sebbene un incidente in un altro stato non ci metta in pericolo immediato, osservarlo ci permette di elaborare strategie per evitare scenari simili nella nostra vita. In questo modo, l'evento tragico diventa una sorta di lezione, un promemoria dei rischi che esistono e un'opportunità per rafforzare la nostra sensazione di sicurezza e controllo.

​Vedere che a qualcun altro è capitato qualcosa di terribile ci offre anche un senso di sollievo. Questo fenomeno è conosciuto come "benevolenza negativa" o "schadenfreude" (una parola tedesca che significa "gioia per il male altrui"). Non si tratta di godere della sofferenza, ma piuttosto di provare un sottile sollievo per il fatto che non siamo noi a subire quel dolore. È una rassicurazione che, nonostante i problemi quotidiani, la nostra vita non è così male.


​Empatia e Connessione Umana

​Nonostante l'aspetto apparentemente cinico, la nostra attrazione per le tragedie altrui è anche legata alla nostra capacità di empatia. Quando leggiamo di una catastrofe o di un crimine, ci mettiamo istintivamente nei panni delle vittime. Questo processo, sebbene doloroso, ci permette di connetterci con l'esperienza umana a un livello più profondo. Ci rende consapevoli della fragilità della vita e ci ricorda che, in qualsiasi momento, le nostre esistenze potrebbero cambiare radicalmente.

​Per alcuni, consumare questo tipo di notizie può essere quasi catartico. Ci permette di provare intense emozioni in un ambiente controllato, senza subire il vero trauma. È un modo per esplorare i limiti della nostra resilienza emotiva e per riflettere sulla condizione umana.


​La Curiosità e il Richiamo del "Proibito"

​Infine, non possiamo ignorare la nostra intrinseca curiosità. Il male, il macabro, l'inspiegabile attirano l'attenzione. Sono storie che si discostano dalla norma, che ci spingono a chiederci "perché?". A volte, l'attrazione per le brutte notizie è semplicemente una conseguenza del desiderio di comprendere l'incomprensibile. Vogliamo sapere cosa spinge le persone a commettere atti orribili, come si risolve un mistero o cosa accade dopo una grande tragedia. Le brutte notizie sono, in un certo senso, le storie più avvincenti e complesse che l'umanità ha da offrire, e la nostra curiosità innata ci spinge a non distogliere lo sguardo.

​La prossima volta che ti ritroverai a scorrere le notizie e a fissare un titolo che ti colpisce, non giudicarti. Fai un passo indietro e rifletti. Forse stai solo cercando di capire il mondo, di sentirti più sicuro o semplicemente di connetterti con un'esperienza umana universale. Il nostro fascino per il male non è un segno di debolezza, ma una parte complessa e affascinante della nostra natura.


Capitan Pess





TRA 0% E 100%: QUANDO LA VITA CI INSEGNA A VIVERE NEL MEZZO

Viviamo in una società che ama la precisione assoluta. Nelle materie scientifiche, questa certezza è fondamentale: un processo chimico ha una purezza del 99,9%, la temperatura dello zero assoluto è un dato definito, il successo di un esperimento è misurato con esattezza.

Ma la vita vera, quella che viviamo tutti i giorni, non ha la stessa precisione. È un territorio di sfumature, un'infinita scala di grigi che si estende tra il bianco accecante del "tutto" e il nero profondo del "niente".


La trappola degli assoluti: "mai" e "sempre"

Quando ci lasciamo andare a frasi come "non succederà mai" o "sarà sempre così", cadiamo in una trappola mentale. Ci convinciamo che la realtà sia statica, immutabile, prevedibile. Ma la vita ci insegna costantemente il contrario. Quel progetto che credevamo destinato al fallimento "non succederà mai" trova un inatteso spiraglio. Quella felicità che pensavamo "durerà per sempre" subisce una piccola crepa.

Non esistono condizioni eterne, e le persone non sono mai totalmente buone o totalmente cattive. Chi è oggi un amico fidato potrebbe domani rivelarsi diverso, e chi oggi è un avversario potrebbe sorprenderti. La vita, infatti, è un'orchestra di possibilità, non una singola nota.


La bellezza del "non c'è mai tutto e non c'è mai niente"

Questo è forse il concetto più liberatorio di tutti. In ogni situazione, per quanto difficile, non c'è mai niente da cui non si possa imparare o ripartire. Anche il fallimento più grande lascia dietro di sé una lezione preziosa, un pezzo di conoscenza che prima non avevi.

Allo stesso modo, anche nel momento di massimo successo e felicità, non c'è mai tutto. C'è sempre qualcosa che manca, un piccolo difetto, una sfida inaspettata. E questo non è un male, anzi. È ciò che ci tiene con i piedi per terra, che ci spinge a continuare a cercare, a crescere, a non dare nulla per scontato.


Vivere nel mezzo

Accettare che la nostra esistenza sia un viaggio tra 0 e 100, senza mai toccare gli estremi, ci libera da una pressione enorme. Ci permette di abbracciare la complessità, di vedere le persone e le situazioni per quello che sono veramente: un misto di pregi e difetti, di luci e ombre.

Invece di inseguire un'impossibile perfezione o disperare di fronte a un presunto "niente", possiamo imparare a camminare con equilibrio su questa linea sottile. Lì, in quel meraviglioso spazio che non è mai tutto o niente, si trova la vera forza di adattarsi, di imparare, e di vivere pienamente.


Capitan Pess





I MIEI EROI: DALL'ADOLESCENZA AD OGGI

MacGyver, Dylan Dog, Eric Draven, Philip Marlowe, Sir Arthur, Jürgen Klinsmann, John McClane, Aldo Rock

Ognuno di noi ha i suoi eroi, figure che ci ispirano, ci fanno sognare o semplicemente ci mostrano un modo diverso di affrontare la vita. Non parlo solo di supereroi con mantelli, ma di personaggi e persone che hanno lasciato un segno nel nostro percorso di crescita. Per me, questo viaggio è iniziato in adolescenza e mi ha portato fino a oggi, attraverso le gesta di MacGyver, le inquietudini di Dylan Dog, la giustizia oscura di Eric Draven, l'integrità cinica di Philip Marlowe, la perseveranza di Sir Arthur, l'energia di Jürgen Klinsmann, la resilienza di John McClane e la determinazione di Aldo Rock.


L'ingegno: MacGyver

​Iniziamo con il primo, l'eroe che mi ha introdotto al concetto di problem solving creativo: Angus MacGyver. Mentre i miei coetanei si perdevano dietro esplosioni e pugni, io ero affascinato da un uomo che, armato solo di un coltellino svizzero, una gomma da masticare e un'inesauribile conoscenza della fisica e della chimica (e un altro milione di nozioni), riusciva a uscire da ogni situazione.

​MacGyver mi ha insegnato che la vera forza non è nei muscoli, ma nell'ingegno. Mi ha trasmesso l'idea che, con le giuste conoscenze e un po' di creatività, si può risolvere qualsiasi problema, anche il più complesso. Non si trattava di distruggere, ma di costruire, di usare ciò che si ha a disposizione per trasformare una situazione complessa e cercare una via d'uscita.


L'inquietudine: Dylan Dog

​Subito dopo MacGyver, è arrivato l'indagatore di incubi per eccellenza: Dylan Dog. Con lui, il mio mondo è cambiato. Non c'erano più solo problemi da risolvere con la scienza, ma anche paure interiori, mostri nascosti nell'animo umano. Dylan mi ha mostrato il lato più oscuro e complesso della vita. La sua malinconia, le sue battute, la sua capacità di immedesimarsi nelle sofferenze altrui mi hanno insegnato che l'empatia è una forza potentissima. Nonostante la paura, Dylan non si tirava mai indietro, affrontando i demoni che gli si presentavano con un misto di ironia e coraggio. Mi ha insegnato che è umano avere delle debolezze, ma che l'importante è guardarle in faccia.


La giustizia oscura: Eric Draven

​Poi è arrivata l'icona della vendetta e del dolore, Eric Draven, il protagonista de "Il Corvo". La sua storia è un pugno nello stomaco: un'ingiustizia atroce che lo riporta dalla morte per ristabilire l'equilibrio. Draven non è un eroe luminoso; è l'incarnazione di una giustizia implacabile, nata dal dolore più profondo e dall'amore. Mi ha mostrato come anche nell'oscurità più totale possa esserci una forza motrice, una determinazione inarrestabile a cercare la verità e a ripristinare ciò che è stato ingiustamente strappato. La sua vendetta è intrisa di una malinconia poetica, che mi ha fatto riflettere sulla natura del dolore e sulla forza che si può trovare anche dopo la perdita più grande. È l'eroe che mi ha fatto capire che a volte, per guarire, bisogna affrontare ciò che fa più male.


L'integrità cinica: Philip Marlowe

​Tra le nebbie di Los Angeles e le ombre del noir, ho incontrato Philip Marlowe. Il detective di Raymond Chandler non è un eroe nel senso classico del termine. Non salva il mondo, non combatte mostri ultraterreni. Si muove in una realtà corrotta, dove la legge è spesso piegata e la moralità è un lusso per pochi. Eppure, in mezzo a quel marciume, Marlowe mantiene una bussola morale incrollabile. Le sue battute sarcastiche e il suo cinismo sono solo una corazza per proteggere un profondo senso di integrità e onore. Mi ha insegnato che si può lottare per la verità e la giustizia, anche quando si sa che non si vincerà sempre e che il prezzo da pagare è alto. In un mondo che tenta costantemente di corromperti, la vera forza sta nel rimanere fedeli a se stessi e ai propri principi, anche quando si è soli.


La perseveranza: Sir Arthur

​In quegli anni, la perseveranza ha avuto un nome e un cognome, o meglio, un'armatura e uno scudo: Sir Arthur, il prode cavaliere di "Ghosts 'n Goblins" e "Ghouls 'n Ghosts". Chiunque abbia affrontato quel gioco arcade sa di cosa parlo. Arthur era la quintessenza della resilienza videoludica: perdeva l'armatura al primo colpo, si ritrovava in mutande, ma continuava a combattere contro orde di demoni, scheletri e zombie. Morire e ricominciare era la norma, ma l'obiettivo di salvare la principessa era sempre lì. Arthur mi ha insegnato il valore dell'ostinazione, del non mollare mai, anche quando la sfida sembrava impossibile e il game over era dietro l'angolo. Una lezione preziosa, trasferibile ben oltre lo schermo di un videogioco.


L'energia e la grinta: Jürgen Klinsmann

​Durante quegli anni, anche il campo di calcio aveva il mio eroe. Jürgen Klinsmann non era solo un grande calciatore, ma per me, un simbolo di energia, di fair play e di grinta. Era un attaccante che correva, si tuffava e segnava. La sua determinazione e la sua lealtà, anche nei momenti più difficili con i tifosi, mi hanno insegnato che il talento va unito alla passione e al rispetto. Ha dimostrato che si può essere campioni non solo per le proprie abilità, ma per il modo in cui si affronta la competizione e per l'amore che si mette nel proprio lavoro.


La resilienza: John McClane

​Crescendo, la vita ha iniziato a mettermi di fronte a ostacoli più concreti. Ed è qui che è entrato in scena John McClane. L'eroe di Die Hard non è perfetto, non è un genio e non è particolarmente eccezionale. È un poliziotto stanco, imperfetto, che si ritrova sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma è proprio questa sua umanità a renderlo straordinario. McClane cade, si sporca, si fa male, ma si rialza sempre. La sua tenacia, la sua capacità di non mollare mai, anche quando tutto sembra perduto, mi hanno insegnato il valore della resilienza. Non si tratta di essere invincibili, ma di non arrendersi mai.


​La schiettezza e la fatica: Aldo Rock

​Infine, arriviamo all'oggi, a un eroe che non viene dalla fantasia, ma dalla realtà: Aldo Calandro, in arte Aldo Rock. Ho iniziato a seguirlo molti anni fa su radio deejay e la sua figura ha completato il quadro. Aldo Rock non ha poteri speciali, ma un dono ancora più raro: la sincerità brutale e una profondità disarmante. Pioniere del triathlon in Italia e atleta instancabile ancora oggi (nonostante non sia più "giovanissimo"), ha fatto della fatica, della sfida e del superamento dei propri limiti una filosofia di vita. Con la sua rubrica del venerdì mattina su Radio Deejay, e attraverso le sue pillole ovvero le sue "pappardelle" o il suo "diario di un uomo", mi ha spinto a non arrendermi, a rimettermi in gioco, a dare spazio alla mia parte più selvaggia e a dare un senso a ciò che faccio. I suoi argomenti, che spaziano dalle imprese sportive estreme alla motivazione, dalla ricerca del disagio alla disciplina, mi hanno sempre colpito. È una sorta di atleta zen della fatica, che insegna a guardare il dolore e la difficoltà non come ostacoli, ma come strumenti di crescita. La sua filosofia, basata sulla disciplina e sul rispetto per se stessi e per gli altri, è un richiamo costante a non perdere di vista ciò che conta davvero. Mi ha insegnato che per essere un eroe, a volte, basta essere se stessi, onesti e inarrestabili.


Eroi in evoluzione

​Guardando indietro, mi rendo conto che i miei eroi sono cambiati con me e io sono cambiato grazie a loro. L'ingegno di MacGyver, l'empatia di Dylan Dog, la giustizia dark di Eric Draven, l'integrità cinica di Philip Marlowe, la grinta di Jürgen Klinsmann, la resilienza di John McClane e la "sana ricerca dei limiti" di Aldo Rock non sono solo tratti di personaggi, ma ormai sono parti di me che ho cercato di coltivare nel tempo. Ognuno di loro mi ha lasciato un pezzo di strada e degli insegnamenti preziosi. E mi ricordano che gli eroi non sono solo quelli che salvano il mondo, ma anche quelli che ci aiutano a salvare noi stessi, un piccolo passo alla volta.


Capitan Pess





"PASSERÀ ANCHE QUESTA": UN INNO ALLA RESILIENZA E ALLA GIOIA

C'è una frase, semplice e potente, che ultimamente mi ronza nella testa come un mantra: "Passerà anche questa"
Forse l'hai sentita sussurrare da qualcuno in un momento difficile, o l'hai pronunciata tu stesso, quasi per darti coraggio. È una frase che racchiude in sé una grande verità: tutto è transitorio, niente dura per sempre
Ma il suo significato va ben oltre un semplice promemoria del tempo che scorre. 
Ci insegna a vivere.


Quando la tempesta si fa scura

Nei momenti di difficoltà, quando sembra che il mondo ci crolli addosso, "passerà anche questa" è una certezza a cui aggrapparsi. 
È un incoraggiamento a resistere, a non mollare la presa. 
Ci ricorda che, per quanto la sofferenza possa sembrare infinita, ha una fine. 
Le notti insonni, le preoccupazioni che ci attanagliano, le delusioni che ci lasciano l'amaro in bocca... sono tutte fasi. 
E come ogni fase, prima o poi si concluderanno.
Stringere i denti non significa ignorare il dolore, ma affrontarlo con la consapevolezza che non siamo bloccati in eterno in quella situazione. 
È un atto di fiducia nella vita e nella nostra capacità di superare gli ostacoli. 
Ogni passo, anche il più piccolo, ci avvicina alla fine del tunnel. 
E quando la luce tornerà, ci ritroveremo più forti, più saggi e più consapevoli della nostra forza interiore.


E quando il sole splende?

Ma c'è un'altra faccia della medaglia, altrettanto importante. Se le cose brutte passano, anche le cose belle lo fanno. 
Questa consapevolezza non deve buttarci giù, al contrario. 
Deve spingerci ad apprezzare ogni istante di felicità. 
"Passerà anche questa" ci invita a non dare per scontato nulla, a goderci a pieno ogni momento di gioia.
Una risata tra amici, un abbraccio inaspettato, un successo lavorativo, la bellezza di un tramonto: sono tutti attimi preziosi. 
Invece di lasciarli scivolare via, dovremmo afferrarli, condividerli e farne tesoro. 
Fai festa per i tuoi traguardi, celebra i momenti felici con le persone che ami. 
La vita è fatta di questi istanti, e il loro valore è ancora più grande proprio perché sappiamo che non dureranno in eterno.


L'equilibrio tra speranza e gratitudine

"Passerà anche questa" è quindi un inno all'equilibrio. 
Ci dona la speranza nei momenti difficili e la gratitudine in quelli felici. 
Ci insegna a essere resilienti di fronte alle avversità e a essere presenti e consapevoli quando le cose vanno bene.
Non si tratta di essere superficiali, né di evitare le emozioni, ma di coltivare una visione più ampia. 
La vita è un susseguirsi di alti e bassi, e accettare questa ciclicità è il primo passo per viverla pienamente.
Quindi, la prossima volta che ti trovi in una situazione difficile, ricorda: "Passerà anche questa". 
E quando sei felice, non dimenticare di goderti ogni attimo, perché, anche quello, "passerà". 
La vera saggezza quindi sta nel vivere ogni fase con la giusta prospettiva, traendone il massimo, che sia una lezione o una pura gioia.


Capitan Pess




MAL DI VIVERE: QUANDO LA VITA FA MALE E COSA POSSIAMO FARE

C'è un'espressione che tutti conosciamo, ma di cui raramente parliamo a fondo: il mal di vivere. Non è una malattia, non è un termine clinico, ma è una sensazione profonda e diffusa che molti provano in vari momenti della loro esistenza. È quel senso di pesantezza, di stanchezza interiore, quella fatica a trovare un senso nelle piccole cose di ogni giorno.


​Cos'è esattamente il "mal di vivere"?

​Il mal di vivere è un'inquietudine esistenziale. È la percezione che qualcosa non va, anche quando apparentemente tutto è a posto. Può manifestarsi in molti modi:

  • Stanchezza cronica: non fisica, ma mentale. Ci si sente svuotati, senza energie per affrontare anche le attività più semplici.
  • Senso di vuoto: un'assenza di stimoli, di gioia, di motivazione. Le cose che prima ci entusiasmavano non hanno più lo stesso sapore.
  • Irritabilità e frustrazione: si prova una rabbia sottile, ma costante, nei confronti di sé stessi, degli altri o del mondo in generale.
  • Perdita di significato: la sensazione che la propria vita non abbia uno scopo, che si stia solo "sopravvivendo" anziché "vivendo".

​Non è sempre facile distinguere il mal di vivere da una depressione clinica, che è una condizione medica seria che richiede l'intervento di uno specialista. Tuttavia, la differenza principale sta spesso nella gravità e nella persistenza dei sintomi. Il mal di vivere può essere una fase, un campanello d'allarme, mentre la depressione è una condizione più pervasiva e invalidante. In ogni caso, è sempre saggio parlarne con un professionista se la sofferenza diventa insostenibile.


​Da dove nasce questa inquietudine?

​Le cause possono essere molteplici e spesso si intrecciano tra loro:

  • Pressioni sociali: il mito della perfezione, la ricerca incessante del successo e la costante esposizione sui social media ci fanno sentire inadeguati e in difetto.
  • Vita frenetica: la mancanza di tempo per sé stessi, la routine che ci schiaccia e la difficoltà a staccare la spina.
  • Crisi esistenziali: la ricerca di un senso profondo, le domande sul futuro, sul passato, sul ruolo che ricopriamo nel mondo.
  • Traumi o cambiamenti: un lutto, la fine di una relazione, la perdita del lavoro o un trasloco possono scatenare una profonda sensazione di smarrimento.

Cosa possiamo fare per alleggerire il peso?

​Riconoscere il mal di vivere è il primo, fondamentale passo. Non ignorarlo, non nasconderlo, ma accoglierlo come un segnale che è tempo di fare un cambiamento.

  1. Parla con qualcuno: condividere le tue sensazioni con una persona di fiducia, un amico, un familiare o un terapeuta può farti sentire meno solo e darti una prospettiva diversa.
  2. Riscopri le piccole gioie: anche se ti sembra impossibile, prova a concentrarti su una cosa al giorno che ti fa stare bene, anche per pochi minuti. Che sia una tazza di tè caldo, ascoltare la tua canzone preferita o una breve passeggiata all'aria aperta.
  3. Sii gentile con te stesso: smetti di giudicarti. Il mal di vivere non è un fallimento, è un'esperienza umana. Concediti il permesso di non essere sempre al top.
  4. Cerca una nuova routine: prova a introdurre piccoli, ma significativi, cambiamenti nella tua vita. Dedica del tempo a un hobby che avevi trascurato, prova una nuova attività o fai esercizio fisico. Non devono essere cose grandiose, ma qualcosa che spezzi la monotonia.
  5. Valuta un supporto professionale: se la sensazione di malessere persiste e ti impedisce di vivere la tua quotidianità, rivolgiti a uno psicologo o uno psicoterapeuta. Non è un segno di debolezza, ma un atto di coraggio e un investimento su te stesso.

​Il mal di vivere è una parte silenziosa della nostra società. Parlarne, condividerlo e affrontarlo con onestà ci permette di alleggerire il carico e, piano piano, ritrovare la strada verso la leggerezza.


Capitan Pess





5 INSEGNAMENTI PER UNA VITA PIENA E SODDISFACENTE

Molte persone si chiedono come si possa vivere una vita che non sia solo "buona", ma piena e soddisfacente. Da un lato, la psicologia ci offre strumenti pratici e scientifici per comprendere la nostra mente e il nostro comportamento. Dall'altro, la filosofia ci fornisce una bussola morale, aiutandoci a porre le domande giuste sul significato e sul valore della nostra esistenza.

​Ho individuato cinque insegnamenti che, combinando la saggezza di entrambe le discipline, possono guidarci verso una vita più ricca e significativa.


​1. Pratica la Gratitudine e la Consapevolezza

​La gratitudine è una delle più potenti leve per la felicità. Non è solo un sentimento, ma una vera e propria pratica che sposta la nostra attenzione da ciò che ci manca a ciò che abbiamo già. La filosofia stoica, per esempio, ci insegna a riflettere sulla transitorietà delle cose, invitandoci ad apprezzare ciò che abbiamo prima che svanisca.

​La consapevolezza (o mindfulness), invece, ci ancora al momento presente. Ci aiuta a smettere di preoccuparci ossessivamente del futuro o di rimuginare sul passato. La psicologia moderna ha dimostrato che la pratica della consapevolezza riduce lo stress e migliora il benessere generale.

Azione: Dedica qualche minuto ogni giorno a pensare a tre cose per cui sei grato. Pratica anche la consapevolezza, ad esempio concentrandoti sul respiro o su un'attività quotidiana come lavare i piatti, notando ogni sensazione senza giudizio.


​2. Accetta l'Impermanenza e il Cambiamento

​La filosofia buddista e quella di Eraclito ci dicono che "tutto scorre". La vita è un flusso costante di cambiamenti. Spesso, la nostra sofferenza nasce dalla resistenza a questa realtà. Ci aggrappiamo a persone, situazioni o stati d'essere, e quando questi inevitabilmente cambiano, ci sentiamo persi.

​La psicologia ci insegna a sviluppare la resilienza, ovvero la capacità di adattarci e riprenderci dalle avversità. Accettare che i periodi difficili non dureranno per sempre ci dà la forza di affrontarli.

Azione: Quando ti trovi in una situazione difficile, prova a vederla come un'opportunità di crescita, non come una fine. Ricorda che la vita è ciclica e che dopo l'inverno arriva sempre la primavera.


​3. Coltiva Relazioni Significative

​Sia la psicologia che la filosofia concordano: le nostre relazioni sono il fondamento di una vita felice. Aristotele parlava dell'uomo come un "animale sociale" e sosteneva che l'amicizia fosse uno dei più grandi beni della vita. La psicologia positiva di oggi conferma questo, dimostrando che i legami forti e il senso di appartenenza sono tra i più importanti fattori predittivi di felicità e longevità.

Azione: Fai uno sforzo consapevole per connetterti con le persone che ami. Prendi l'iniziativa, organizza un'uscita, fai una telefonata. Essere presenti e mostrare il tuo supporto è un investimento prezioso.


​4. Trova un Senso e uno Scopo

​La filosofia esistenzialista, con pensatori come Viktor Frankl, ha messo in luce l'importanza di trovare un senso nella vita. Non si tratta di avere un grande piano cosmico, ma di dare un significato alle nostre azioni e alle nostre sofferenze.

​La psicologia ha poi sviluppato il concetto di scopo, che può essere grande o piccolo. Può essere aiutare gli altri, dedicarsi a una passione, o crescere come persona. Avere uno scopo ci dà una direzione e ci aiuta a superare le difficoltà.

Azione: Chiediti cosa ti fa sentire utile e vivo. Può essere un hobby, un'attività di volontariato o un obiettivo professionale. Non deve essere un'unica cosa per tutta la vita, ma un faro che ti guida nel presente.


​5. Vivi secondo i tuoi Valori

​Spesso viviamo la vita che gli altri si aspettano da noi, o che la società ci impone. La filosofia, specialmente l'esistenzialismo, ci invita a creare noi stessi e a vivere in autenticità.

​La psicologia ci aiuta a comprendere e a identificare i nostri valori più profondi, ovvero i principi che guidano le nostre scelte. Vivere in coerenza con i nostri valori ci dona un senso di integrità e di pace interiore. Quando le nostre azioni sono allineate con ciò in cui crediamo, la soddisfazione personale è una conseguenza naturale.

Azione: Fai una lista di ciò che è veramente importante per te. Pensa ai momenti in cui ti sei sentito più soddisfatto e cerca di capire quali valori erano in gioco. Poi, chiediti se le tue scelte quotidiane sono in linea con questi valori.

​Questi insegnamenti ovviamente non sono soluzioni magiche, ma strumenti potenti per forgiare la vita che desideriamo, ora sta a noi cercare di metterli in pratica.


Capitan Pess





QUANDO IL COMFORT DIVENTA UNA TRAPPOLA

Il paradosso del topo nel barattolo

​Immagina per un attimo di essere un piccolo topo, abituato a faticare ogni giorno per trovare il cibo. Un giorno, all'improvviso, ti trovi in cima a un barattolo colmo di riso. Un'abbondanza incredibile, senza sforzo. È un'immagine di paradiso: puoi mangiare a volontà, senza la minima fatica o preoccupazione.

​Questo scenario, apparentemente idilliaco, nasconde una profonda verità sul rischio di cadere nella trappola della dipendenza. Il topo, inizialmente felice e appagato, smette di usare le sue abilità innate: non esplora, non cerca, non si sforza più per sopravvivere. Si lascia andare a un piacere immediato, senza rendersi conto che, passo dopo passo, sta scendendo verso il fondo del barattolo.


​Dal piacere alla trappola

​Il barattolo di riso è una metafora potente dei piaceri a breve termine che ci fanno sentire al sicuro, ma che in realtà ci intrappolano. Può essere una situazione lavorativa comoda ma priva di sfide, una relazione che ci immobilizza, o semplicemente l'abitudine di evitare ogni tipo di fatica.

​Quando il topo raggiunge il fondo, si accorge troppo tardi di essere intrappolato. Il cibo è finito, e lui non ha più la forza o la capacità di uscire. A questo punto, il suo destino non dipende più da lui, ma da chi gli darà il prossimo granello di riso. Il libero arbitrio e l'autonomia, che prima davamo per scontati, sono scomparsi.


​Il costo della libertà

​Questo paradosso ci insegna quattro lezioni fondamentali:

  1. I piaceri a breve termine possono nascondere trappole a lungo termine. Ciò che ci sembra una scorciatoia per la felicità può facilmente trasformarsi in una prigione. È fondamentale guardare oltre l'immediato e valutare le conseguenze delle nostre scelte.
  2. La comodità può generare dipendenza. Quando le cose sono troppo facili, perdiamo la nostra indipendenza e la nostra capacità di cavarcela da soli. La pigrizia diventa una catena.
  3. L'inattività atrofizza le nostre abilità. Non usare le nostre capacità non ci rende solo meno bravi, ma ci fa perdere la cosa più preziosa: la possibilità di scegliere e la nostra libertà. Chi non si esercita a nuotare, prima o poi affoga.
  4. La libertà è una conquista costante, non un dono. Non è qualcosa che si ottiene una volta per tutte, ma un valore da difendere e coltivare ogni giorno. È facile perderla, ma difficile riconquistarla.

​Il topo, che ha sempre "acconsentito" alla sua prigionia rimanendo nel barattolo, è l'emblema di uno schiavo involontario. Non è stato costretto, ma ha rinunciato alla sua libertà in cambio di un comfort temporaneo.

​Alla fine, il messaggio è chiaro: non aver paura della fatica e delle sfide. Accettale come un modo per mantenere vive le tue abilità e la tua autonomia. Non lasciare che i piaceri facili ti immobilizzino, perché il vero rischio non è fallire, ma diventare prigioniero della tua stessa comodità.


Capitan Pess





CRISI DI MEZZA ETÀ! MA L'ETÀ DI MEZZO È DAVVERO UNA CRISI?

La vita è un susseguirsi di cambiamenti, ma c'è una fase che spesso suscita timore: la cosiddetta "crisi di mezza età". Si tratta di un periodo che, secondo il senso comune, è caratterizzato da profondo disagio, dubbi esistenziali e comportamenti impulsivi. Ma è davvero una crisi universale e inevitabile? O è un'etichetta che usiamo per un periodo di profonda trasformazione?

​La mezza età, che di solito si colloca tra i 40 e i 60 anni, è un momento di bilanci. Abbiamo costruito una carriera, una famiglia e una vita sociale, ma a un certo punto ci si ferma a riflettere. Ci si chiede se si è davvero felici, se si sono prese le giuste decisioni e se c'è ancora tempo per realizzare i propri sogni. È in questo momento che molte persone si sentono insoddisfatte o in trappola.


​I segnali del cambiamento

​La "crisi" può manifestarsi in modi diversi. Alcune persone si sentono improvvisamente sopraffatte dalla routine e cercano nuove emozioni. Si possono notare cambiamenti nello stile di vita, come l'inizio di nuovi hobby, la ripresa di vecchie passioni o, in alcuni casi, decisioni drastiche come il cambio di lavoro o la fine di una relazione. Altri, invece, si ritrovano a fare i conti con un profondo senso di perdita, legato al tempo che passa, alla salute che non è più quella di una volta o al fatto che i figli stanno per lasciare il nido.


​Non una crisi, ma un'opportunità

​Invece di vedere questo periodo come una crisi, potremmo considerarlo come una fase di transizione e crescita. La mezza età può essere il momento perfetto per riscoprire sé stessi. Dopo anni passati a costruire e a prendersi cura degli altri, si ha finalmente l'opportunità di concentrarsi sui propri desideri e bisogni.

​Può essere un momento per:

  • Riflettere senza giudizio. Valuta la tua vita finora: cosa ti ha reso felice e cosa no? Cosa vorresti cambiare?
  • Investire in te stesso. Dedica tempo a ciò che ami, come un corso di pittura, imparare uno strumento musicale o viaggiare.
  • Accettare il cambiamento. Non cercare di tornare indietro nel tempo, ma abbraccia la persona che sei diventato. Il tempo che passa non è una perdita, ma l'occasione di acquisire saggezza ed esperienza.

Un ponte tra culture: dalla crisi alla transizione e il nostro viaggio personale

​È importante ricordare che la mezza età non è uguale per tutti. C'è chi la vive con serenità e chi con più difficoltà. L'importante è ascoltarsi, chiedere aiuto se necessario e, soprattutto, non avere paura di esplorare nuove strade.

​La "crisi di mezza età" è in realtà un'opportunità di profonda crescita e rinnovamento. È il momento di prendere le redini della propria vita e decidere come viverla appieno. Non è la fine della storia, ma l'inizio di un nuovo, entusiasmante capitolo.

Oltre al concetto occidentale di "crisi di mezza età", molte culture hanno una visione della vita come un viaggio che si snoda attraverso fasi ben definite. La tradizione indiana, in particolare, offre un'interessante suddivisione della vita umana in quattro stadi, noti come ashrama (letteralmente "stadi della vita"). Questa divisione non è solo un modo per descrivere le fasi biologiche, ma è un modello spirituale e sociale che fornisce una guida su come vivere ogni periodo.


​1. Brahmacharya (La fase dello studente)

​Questa fase va dalla nascita fino a circa 25 anni. È il periodo in cui ci si dedica allo studio, all'apprendimento e alla formazione del carattere. L'obiettivo principale è acquisire conoscenza, disciplina e rispetto, sotto la guida di un maestro. Si vive con austerità, lontano dalle distrazioni e si pongono le basi per le fasi successive.


​2. Grihastha (La fase del capofamiglia)

​Dai 25 ai 50 anni, l'individuo si dedica alla vita di famiglia e alla società. È il periodo in cui si lavora, si costruisce una casa, ci si sposa e si allevano i figli.  Questa fase è considerata fondamentale, poiché la stabilità sociale e la continuità della comunità dipendono dall'impegno dei capifamiglia. L'obiettivo è adempiere ai propri doveri e contribuire al benessere della società.


3. Vanaprastha (La fase dell'eremita della foresta)

​Tra i 50 e i 75 anni, si entra in questa fase di transizione. Dopo aver adempiuto ai doveri familiari e sociali, l'individuo inizia a ritirarsi gradualmente. Questo non significa abbandonare completamente la famiglia, ma ridurre le responsabilità materiali per dedicarsi a una vita più spirituale e contemplativa. Spesso si vive in una sorta di ritiro, studiando i testi sacri e preparandosi per l'ultima fase.


​4. Sannyasa (La fase della rinuncia totale)

​L'ultima fase della vita, dai 75 anni in poi, è dedicata alla completa rinuncia al mondo materiale. L'individuo, ora un sannyasin, abbandona ogni bene e ogni legame per dedicarsi unicamente alla ricerca della liberazione spirituale (moksha).  L'obiettivo è superare l'attaccamento a sé stessi e al mondo per raggiungere l'illuminazione.

​Queste quattro fasi offrono una prospettiva sulla vita molto diversa da quella occidentale, dove la "crisi di mezza età" è spesso vista come un evento negativo. Nella tradizione indiana, il passaggio da una fase all'altra è un processo naturale e onorevole, un'opportunità di crescita e di evoluzione spirituale, piuttosto che una crisi da superare.


Capitan Pess








LA CRESCITA ESPONENZIALE: PERCHÉ ALCUNI LAVORI CI FANNO PROGREDIRE ED ALTRI NO

​Quando pensiamo al nostro lavoro, spesso lo vediamo solo come un mezzo per guadagnare. Ma se ci fermiamo a riflettere, ci rendiamo conto ch...