Era il 19 settembre 1997. Non una data qualunque, ma il giorno in cui le nostre vite ci hanno restituito il nostro nome e cognome, dopo mesi in cui eravamo stati solo dei numeri, bersaglieri di Orcenico superiore in Friuli, la Compagnia Arditi.
Ricordo ancora molto bene il rumore delle coperte e dei materassi piegati per preparare "il cubo", il profumo di lucido da scarpe per rendere neri degli anfibi erroneamente consegnati marroni che aleggiava nelle camerate e quell'odore di merda misto dentifricio che era tipico dei bagni della caserma.
La divisa, che per mesi era stata la nostra seconda pelle, il 19 settembre era solo un vestito da riporre. Ma in quella caserma, tra le mura grigie e i cortili polverosi, non lasciavamo solo un anno della nostra vita. Io personalmente lasciavo un pezzo di cuore.
La naja è stata la nostra prova del fuoco. Una scuola di vita che ci ha strappato dalle certezze della gioventù e ci ha catapultato in una realtà fatta di disciplina, sacrifici e notti insonni. Abbiamo corso fino a sentire i piedi in fiamme e cantato a squarciagola i "nostri" inni come solo un bersagliere sa fare. Ma è stato lì, nella fatica condivisa, che è nato qualcosa di più grande: la fratellanza.
Non avevamo la stessa provenienza (anche se fortunatamente eravamo tutti piuttosto vicini), le stesse idee o gli stessi sogni. C'era lo spavaldo e il timido, il ricco e il povero, lo sportivo e il pigro. Siano stati raggruppati e costretti a convivere, a conoscerci e a contare l'uno sull'altro, a diventare una cosa sola per affrontare le difficoltà. Abbiamo imparato a conoscere i difetti e le virtù di ogni commilitone, a condividere le confidenze più intime e a sostenerci a vicenda quando la nostalgia si faceva sentire.
Ho avuto la fortuna e l'immenso privilegio di conoscere (e continuare a farlo tutt'ora) dei ragazzi eccezionali.
Quel giorno, il 19 settembre 1997, non ho salutato dei colleghi, ho abbracciato dei fratelli. Con la promessa, forse sussurrata o semplicemente pensata, di non dimenticare mai quei legami forgiati in un'epoca irripetibile.
La vita ci ha portato su strade diverse: chi ha intrapreso una nuova carriera, chi si è trasferito lontano e chi ha attraversato difficoltà impreviste.
Noi ci siamo ancora; i nostri ricordi sono rimasti immutati, come un battaglione schierato, pronto a rivivere ogni istante.
E oggi, ventotto anni dopo, è il momento di onorare ancora una volta quella fratellanza. Di alzare idealmente un bicchiere a quei compagni di un tempo e che per mia fortuna ci sono ancora oggi, ma che rimangono un capitolo fondamentale della mia storia. Perché la vita militare, quella di fare il bersagliere in una caserma operativa, è stata una formazione che ci ha segnato per sempre, tanto da volermelo incidere sulla pelle.
Ci ha insegnato il valore del cameratismo, della forza d'animo e del senso del dovere.
Oggi voglio ricordare il nostro congedo, ma soprattutto voglio ricordare la promessa di quel giorno: non dimenticare mai chi mi è stato accanto in questa grande avventura.
Bersagliere un giorno, bersagliere tutta la vita.
Vi voglio bene ragazzi, fratelli!
Capitan Pess
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